20 bugie storiche che molti credono siano vere.

 


Le cinture di castità…Non è vero che i cavalieri medioevali, partendo per le crociate, blindassero l’illibatezza delle mogli con le cinture di castità. Lo dimostrano analisi su diverse castità attribuite all’XI-XIII secolo: la maggior parte fu infatti realizzata nell’800, molte sono in realtà apribili e riportano frasi oscene, lasciando pensare che si usassero per giochi erotici.

 

 


Maria Antonietta invitò il popolo a mangiare brioche La tradizione attribuisce a Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, moglie di Luigi XVI, di aver replicato con queste parole sprezzanti a chi le comunicava che il popolo affamato reclamava il pane: “Se non hanno pane, che mangino brioche!”.
In realtà fu la storiografia rivoluzionaria ad attribuire queste parole all’impopolare sovrana (ghigliottinata nel 1793) prendendo spunto da una frase analoga che l’illuminista Jean-Jacques Rousseau, nelle sue Confessioni, attribuì a una non meglio precisata principessa. Nella foto, Kirsten Duntz interpreta Maria Antonietta nell’omonimo film del 2006


D’annunzio si fece togliere due costole Quella secondo cui “il Vate” si fece asportare due ossa del torace per praticare l’autofellatio è una diceria diffusissima e non solo tra i banchi di scuola. Eppure è decisamente fantasiosa.  intanto, l’idea che l’asportazione delle costole possa consentire l’autofellatio è priva di fondamento dal punto di vista medico. E poi nessuna biografia di Gabriele D’Annunzio riporta questo dettaglio.  È però facile capire perché la diceria ebbe fortuna: era molto credibile per un personaggio noto per l’intensa attività erotica e per l’esaltazione letteraria del piacere sessuale.

 


Einstein andava male a scuola Diversamente da una diffusa leggenda (molto tenace perché paradossale) che lo dipinge come un pessimo studente, soprattutto in matematica, Albert Einstein (1879-1955) ebbe un rendimento scolastico sempre buono. È vero però che, in giovane età, il futuro scienziato si sentiva a disagio sui banchi per l’autoritarismo imperante nelle scuole tedesche e che i suoi atteggiamenti irritarono più di un professore.

 


Edison inventò la lampadina Alla lampadina a incandescenza di solito si associa il nome dell’inventore americano T omas Alva Edison (1847- 1931). Ma c’è un altro “papà”, oggi dimenticato: il piemontese Alessandro Cruto (1847- 1908), nella foto.  Il 5 marzo 1880, nel laboratorio di fisica dell’Università di Torino, Cruto accese la sua prima lampadina grazie alla messa a punto di un filamento di sua invenzione e ignoto a Edison. La lampadina risultò molto più efficiente di quella realizzata appena 5 mesi prima da Edison (500 ore di durata contro le 40 del collega americano). Nato a Piossasco, non lontano da Torino, Cruto fu avviato agli studi tecnico-industriali e fin da giovane iniziò a cimentarsi come inventore. Nel suo laboratorio mise a punto tra l’altro un sistema di graduazione per i termometri. Nel 1879 si “convertì” agli studi sull’elettricità, allora pionieristici. Quell’anno Cruto aveva assistito a Torino alla presentazione dei prototipi di Edison, che il fisico e ingegnere Galileo Ferraris aveva introdotto come una mera curiosità, dati i loro limiti funzionali. Il problema era il filamento, che diventando incandescente per il passaggio della corrente elettrica si consumava troppo in fretta. cruto trovò, pochi mesi dopo, la soluzione: usò all’interno del bulbo di vetro filamenti di carbonio purissimo, ottenendo non solo una maggior durata, ma anche una luce più chiara. Coprotagonisti. Altri italiani lavorarono alla lampadina (oltre a numerosi stranieri) come Ferdinando Brusotti (1839-1899), che nel 1877 aveva brevettato una “lampada elettrica a incandescenza”, e Arturo Malignani (1865- 1939), che aumentò la durata fino a 800 ore.


I feudatari godevano dello ius primae noctis Il “diritto della prima notte” è passato alla Storia come il diritto del feudatario di trascorrere con le mogli dei suoi servi della gleba la prima notte di nozze. In realtà si trattava di una tassa (in denaro, non in natura) chiesta dal signore in cambio del suo assenso al matrimonio.  Il mito moderno relativo all’epoca medioevale si sviluppò a partire dall’Illuminismo, che ebbe una propensione a denigrare il Medioevo. “Le droit du Seigneur” un dipinto di Vasiliy Polenov del 1874 racconta proprio questo mito costruito per screditare il medioevo.

 


Leonardo è il padre della bicicletta Questa diffusa credenza deriva dal fatto che su una pagina del Codice Atlantico compare il disegno di una bicicletta con tanto di pedali e catena (nella foto). In realtà la maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che il disegno non appartiene alla mano del Maestro, né a quella di un suo allievo (si disse per esempio che potesse essere opera di Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì). L’ipotesi più probabile è che sia stato aggiunto nell’800, quando la bicicletta era appena stata inventata, o dopo.  Il Codice Atlantico, in effetti, nacque nel Tardo ’500 da un assemblaggio arbitrario da parte dello scultore Pompeo Leoni, che aveva acquistato i codici originari da Francesco Melzi (allievo di Leonardo) e che li aveva riorganizzati. Altri rimaneggiamenti si ebbero nei secoli successivi.


Il naso della Sfinge su rotto dai napoleonici Di certo non fu colpa loro: Napoleone invase l’Egitto nel 1798 e ci sono immagini della Sfinge senza naso del 1737. Nella foto le grandi piramidi e la Sfinge in una foto del 1890

 

 


La Rivoluzione francese scoppiò con la presa della Bastiglia Per gli storici la Rivoluzione francese, che considerano come una lunga sequenza di avvenimenti durata quasi 10 anni, iniziò con la convocazione degli stati generali il 5 maggio 1789. Fu allora che il terzo stato (la borghesia) si pose alla testa della rivolta contro il sistema feudale (l’ancien régime).  Quanto all’insurrezione violenta di luglio, non cominciò con l’assalto alla Bastiglia. L’assalto alla Bastiglia del 14 luglio 1789 fu solo uno dei tanti episodi di una rivolta che in Francia era già dilagante (soprattutto a causa della carestia e delle tasse).  La capitale stessa da un paio di giorni era preda delle sommosse. Dal 12 luglio si era insediato un comitato permanente rivoluzionario che si contrapponeva al governatore reale. L’attacco alla fortezza-prigione della Bastiglia, poi, ebbe all’inizio uno scopo pratico: impossessarsi delle polveri e delle armi della guarnigione. Fu condotto a partire dal mattino da circa 900 rivoltosi, mentre nella città erano già state alzate barricate. Dopo il fallimento di una trattativa con il comandante della guarnigione di 114 uomini, Bernard- René de Launay, scoppiò una breve battaglia. Verso le 5 del pomeriggio gli assedianti entrarono dal ponte levatoio, liberando i sette detenuti. La fortezza (eretta nel 1382, ma mai strategica) era stata trasformata in prigione dal cardinale Richelieu nel Seicento. Avendo avuto tra i suoi (mai numerosi) ospiti anche personaggi come l’illuminista Voltaire, la propaganda rivoluzionaria fece di quell’assalto l’evento scatenante della rivolta e il 14 luglio divenne festa nazionale francese.


Guglielmo Tell colpì la mela Intorno alla figura del celebre eroe svizzero, si sono cimentati per secoli gli storici, ma la conclusione è che si tratti di una leggenda. Non esistono infatti prove sulla sua storicità. Secondo la leggenda, Guglielmo Tell, un contadino del cantone di Uri, reo di non aver salutato un’insegna degli austriaci invasori, è costretto a colpire una mela posta sul capo del figlio: Tell, il miglior tiratore della valle, non fallisce, ma viene arrestato quando rivela che, nel caso avesse fallito, avrebbe ucciso il governatore. Tell però fugge e uccide il governatore in un’imboscata. La leggenda non è altro che la variante svizzera di un racconto popolare noto come “tiro della mela”, diffuso anche tra danesi, norvegesi, islandesi e inglesi. Il mito, però, servì agli elvetici per difendere la propria indipendenza dagli Asburgo, che contestavano la legittimità della prima Confederazione Svizzera del 1° agosto 1291.


Gli eroi delle Termopili erano 300 Secondo la tradizione, tra il 19 e il 21 agosto del 480 a. C. al passo delle Termopili (Grecia Orientale) 300 Spartani fermarono (o, a onor del vero, rallentarono solamente) l’avanzata dei Persiani invasori. In realtà i soldati greci inviati alle Termopili furono fra 5 e 7 mila. È vero che, stando alle fonti del tempo, gli uomini del re spartano Leonida (la cui guardia contava 304 uomini oltre al sovrano e ai comandanti) rimasero isolati dal resto delle truppe alleate. Ma, sempre secondo le fonti antiche, con loro c’erano anche 700 guerrieri della città di Tespie e 400 di Tebe (già conquistata dai Persiani). Nell’immagine, Leonida alle Termopili visto dal pittore Jacques-Louis David nel 1814.


A Little Bighorn i soldati di Custer morirono tutti L’epica sconfitta del 25 giugno 1876 subita dal 7° Cavalleggeri del tenente colonnello George Custer spazzò via l’intero reggimento. Così narra il mito della battaglia svoltasi nei pressi del fiume Little Bighorn (Montana) contro una coalizione indiana agli ordini di Cavallo Pazzo e Toro Seduto (nella foto in un ritratto del 1881). La verità è che non tutti morirono in quella battaglia.  Del gruppo di Custer sopravvisse il trombettiere-portaordini di origini italiane John Martini, che aveva lasciato la colonna del colonnello, e gli squadroni agli ordini di Marcus Reno e Frederick Benteen in gran parte la scamparono. Il reggimento contava 31 ufficiali, 586 soldati, 33 scout indiani e 20 civili: morirono 268 uomini


Newton scoprì la forza di gravità quando una mela gli cadde in testa La leggenda narra che il fisico inglese Isaac Newton (1643-1727) cominciò a lavorare alla sua legge di gravitazione dopo che una mela gli cadde in testa.  Gli scienziati hanno sempre sospettato che si trattasse di un aneddoto, ma la conferma viene dalla biografia scritta dall’amico e collega William Stukeley.  Secondo Stukeley, Newton avrebbe riferito di avere osservato una mela staccarsi da un albero (ma senza finire sulla testa di nessuno) e di averci riflettuto su. Ma il racconto fu fatto molti anni dopo, probabilmente solo a scopo esemplificativo. A tramandare poi l’episodio fu, nel 1734, Voltaire nelle Lettere filosofiche.

 


Houdini morì durante un suo numero La morte del celebre illusionista Harry Houdini, nel 1926, non fu dovuta ai pericoli a cui si sottoponeva durante i suoi numeri. Fu invece colpa di uno studente appassionato di arti marziali che lo sfidò a una prova di forza, colpendolo con un pugno al ventre senza dargli però il tempo di preparare i muscoli addominali.  Il giorno dopo Houdini accusò forti dolori. Ma andò lo stesso in scena. Pochi giorni dopo a Detroit (Usa) al calare del sipario stramazzò al suolo con la febbre a 40. La diagnosi fu peritonite: il colpo all’addome aveva forse contribuito a perforare un’appendice già infiammata.  Operato d’urgenza, Houdini morì il 31 ottobre 1926, a 56 anni.

 


Le Repubbliche marinare erano 4 L’equivoco ebbe origine nella storiografia dell’800 che, in pieno fervore risorgimentale, esaltò le 4 città, in effetti molto potenti. Per gli storici di oggi furono repubbliche marinare anche altri comuni dediti al commercio marittimo, rette da governi repubblicani o da oligarchie, che possedessero una propria valuta, leggi marittime, una flotta commerciale e diplomatici. Caratteristiche possedute da: Ancona, Gaeta, Trani, Noli, Sorrento, Capua…

 


Napoleone fu detto “il piccolo caporale” perché era basso Non era un gigante, ma non si poteva certo definire basso. Secondo le fonti Napoleone era alto un metro e 69: una statura di tutto rispetto negli anni in cui visse (1769-1821) e nella media dei suoi tempi.  È noto infatti che l’altezza delle popolazioni aumenta progressivamente da una generazione all’altra grazie alle migliori condizioni alimentari e igienicosanitarie, fino a raggiungere un livello stabile (com’è avvenuto per molti popoli occidentali, ma non ancora per alcuni di quelli in via di sviluppo).  Perché allora Napoleone fu definito le petit caporal, cioè “il piccolo caporale”?  L’ipotesi degli storici è che si trattasse di un soprannome dovuto all’affetto e alla simpatia che i soldati nutrivano nei suoi confronti nonostante la giovane età, e non alla statura.


Eva offrì ad Adamo una mela “Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò” (Genesi, 3: 6).  La Bibbia racconta che Adamo ed Eva mangiarono il frutto dell’albero della conoscenza del Bene e del Male, contravvenendo alla proibizione di Dio. Per questa ragione i due furono scacciati dall’Eden, perdendo i privilegi di cui godevano al momento della creazione. La decisione di mordere questo frutto fu dunque il “peccato originale” in conseguenza del quale Dio condannò per sempre l’uomo a un’esistenza difficile, degradata dal punto di vista morale, fisico e spirituale.  Nel testo, però, non è specificato di quale frutto si trattasse. Molti commentatori hanno ritenuto che fosse un fico, anche perché, poche righe più avanti, la Bibbia riferisce che, appena Adamo ed Eva “si accorsero di essere nudi, intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (Genesi, 3: 7).
Altri hanno ipotizzato che si trattasse di un grappolo d’uva, di un cedro o di un melograno. L’identificazione dell’albero con un melo avvenne solo durante il Medioevo, forse per via di un’assonanza presente nella lingua latina, in cui malum è sia il male sia la mela: l’albero della conoscenza del male può essere diventato, per un errore di traduzione, un melo. Una svista, o un’interpretazione, che poi ebbe molta fortuna, coinvolgendo anche altre espressioni linguistiche: il “pomo d’Adamo”, ovvero la sporgenza della cartilagine nel collo frequente negli uomini dopo la pubertà, è detto così con riferimento al “peccato” reso possibile dalla maturità sessuale.
La scelta della mela fu aiutata dalla tradizione: la simbologia della mela è presente in molte altre culture. Nei miti greci, dove una mela è il frutto che Paride dà in premio ad Afrodite designandola la più bella tra le dee dell’Olimpo; ma anche nell’iconografia medioevale, dove accanto al melograno è simbolo di fertilità. Dalla tradizione biblica la mela passò a sua volta fuori dall’ambito sacro: fu una mela posta sulla testa del figlio quella che Guglielmo Tell, leggendario eroe svizzero, dovette colpire con una freccia; ed è con una mela che la strega cattiva avvelena Biancaneve nella favola dei fratelli Grimm. Una continuità che arriva fino alla mela come simbolo di New York, ma anche della casa discografica fondata dai Beatles e all’Apple: la mela morsicata, secondo alcuni simbolo di conoscenza.


L’Impero romano crollò per colpa dei barbari La cosa è ormai assodata: già prima del 476, anno della capitolazione “ufficiale”, con la deposizione di Romolo Augusto da parte del re germanico Odoacre, l’impero era in crisi. E non per colpa dei barbari, alcuni dei quali integrati persino nell’esercito.  Gli storici indicano tra le vere cause del crollo il calo demografico dovuto a guerre, carestie ed epidemie, l’inflazione, l’eccessiva tassazione e le lotte intestine. I barbari, in pratica, non fecero che sostituirsi a un potere vacante. Furono invece gli storici anglosassoni, nell’Ottocento, ad assegnare loro il ruolo di “liquidatori” di una società corrotta e decadente.

 


Lo champagne è nato in Francia La tradizione vuole che sia stato il benedettino francese Pierre Pérignon (1639-1715) a inventare il metodo per ottenere il celebre vino frizzante. Ma dom Pérignon “copiò” soltanto la tecnica di controllo della doppia fermentazione messa a punto da Christopher Merret, un inglese.
Merret, nato nel Gloucestershire nel 1614, era un mercante specializzatosi nel rendere frizzanti i vini fermi aggiungendovi zucchero e melassa. Un “trucco” (simile al liqueur de tirage usato poi per innescare la rifermentazione dello champagne) che stando agli archivi della Royal society inglese usò per primo nel 1662. Non solo.
La storia di Merret dimostra che il vino con le bollicine ebbe successo prima in Gran Bretagna, mentre in Francia si continuò a preferire la versione ferma dei vini della Champagne. La variante “inglese”, che fece di un difetto (la rifermentazione) un pregio, riuscì a penetrare anche in Francia solo nel corso del Settecento grazie a Filippo II d’Orléans, reggente durante la minore età di Luigi XV.


I pirati nascondevano il loro tesoro sottoterra Di mappe del tesoro, di isole sperdute e di forzieri pieni zeppi di gioielli nascosti sottoterra sono ricche le storie sui pirati. Ma nella realtà i bottini dei predoni che infestarono i mari tra ’600 e ’700 (l’età d’oro della pirateria) venivano spesi tra una scorribanda e l’altra e di tesori se ne vedevano ben pochi.  C’è però un’eccezione, che conferma la regola. Nel 1699 il capitano William Kidd (nell’illustrazione), famigerato pirata scozzese, sotterrò il frutto delle sue rapine a Gardiners Island, vicino a New York, allora colonia inglese. Gli costò la carriera: i preziosi, recuperati, divennero una prova schiacciante nel processo per atti di pirateria istituito contro di lui. Kidd fu condannato a morte e giustiziato nel 1701.


di: focus.it

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